“La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente ricca di sfumature: a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa”.
Schiacciata dal cielo plumbeo di Auschwitz, rinchiusa nel lager dove avrebbe trovato la morte, la scrittrice Etty Hillesum così celebrava la forza della vita. Parole, nonostante la prigionia, cariche di gioia e di speranza. Sentimenti lontani, quasi dimenticati nel mondo che invece della libertà assoluta fa vanto, sconfessato dai timori indotti da una pandemia che ha minato tutte le certezze, anche le più solide, testimonia quanto sia fragile l’impalcatura sulla quale l’uomo contemporaneo ha edificato la propria presunta invincibilità, confidando nell’infallibilità del progresso tecnologico e scientifico.
Alla fine ne verremo fuori anche grazie all’aiuto della scienza, ma in un quadro diverso, in cui si è rivelato necessario proprio ciò che prima appariva superfluo, quasi inutile: la solidarietà, il bisogno del prossimo, la fiducia in un “altro”. L’anno che si chiude non è stato da meno dei suoi predecessori ed ha certificato la solita presenza nel mondo di un’infinità di Erodi e della consueta moltitudine di innocenti sgozzati. Siamo assuefatti al piccolo cabotaggio, all’interesse privato, al vantaggio personale. Lo sguardo pare non più capace di distinguere la ricchezza dei colori: si colgono sempre più solo le ombre della storia, il segno del male, la traccia della perversione. Nella scuola, nella famiglia e talora persi­no tra le mura delle chiese ci accontentiamo del minimo necessario e così non osando attendere, cercare, sperare e così perdiamo – nel chiuso della pigrizia – le tante sorprese della quotidianità.
Il vero rischio, probabilmente, è proprio questo: tacitare nel cuore ogni desiderio e attesa, dare tutto per acquisito (o dovuto) e spegnere ogni sogno. È lo scenario che il 2020 che se ne va ha mostrato di fronte alla tragedia dei corpi ammassati negli ospedali, dei morti senza neppure un ultimo saluto, all’estrema carezza: l’incombere dei luoghi comuni, il chiudersi a riccio nel proprio egoismo, l’assenza di ideali, la caduta della ricerca della verità. Ma il tempo che passa, ci ha insegnato, dimostrato anche tanto di buono. Anzitutto, che accanto all’indifferenza e vacuità di molti c’è una folla di persone che, in silenzio e con umiltà, si dedica agli ultimi, ai bisognosi, ai malati. Ci ha fatto prendere atto che  esiste gente che assume su di sé il carico della crisi che attanaglia tante famiglie, anche se il bene difficilmente attira i riflettori.
La lezione ultima che ne viene è che, più che di un mondo nuovo, c’è bisogno di occhi nuovi per guardare a quello che già esiste. Per essere veramente uo­mini e donne bisogna coltivare sempre un sogno, un progetto, la fede, e mai rassegnarsi alla banalità, alla bruttezza, al grigiore, alla sopravvivenza. L’augurio, allora, è che trovi ascolto l’invito dello scienziato statunitense Benjamin Franklin: “Siate sempre in guerra con i vostri vizi, in pace coi vostri vicini, e che ogni anno vi scopra persone migliori”.

Indietro