Nella giurisprudenza costituzionale si contano 18.760 decisioni tra il 1956 e il 2012; e in ben 11.319 casi la Consulta ha fatto applicazione dell’articolo 3 della Costituzione, che per l’appunto detta il principio di eguaglianza. Quest’ultimo insomma rappresenta, e di gran lunga, il parametro più usato.
La partita di tutte le risorse concentrate sia negli aiuti comunitari che nei vari scostamenti di bilancio o nelle risorse del ‘Next Generation EU’ si gioca nel cercare di ridurre le disuguaglianze.
Nella situazione attuale 7 figli di operai su 10 continueranno a fare gli operai.
Per un impiegato la possibilità di diventare Dirigente è del 21,9%, contro il 40,1% della Svezia. Il titolo di studio dei genitori determina quello della prole (sono laureati il 43% dei figli della borghesia, il 10% dei figli di operai).
In conclusione significa che il 53% degli italiani rimane intrappolato nel suo ceto di origine (Censis 2006, Banca d’Italia 2008, ISTAT 2012).
La domanda da porsi è questa: che conseguenze genera tutto ciò? In Italia la diseguaglianza tra le classi sociali è cresciuta del 33% dopo gli anni Ottanta contro una media OCSE del 12% (Rapporto Growing Inegual , 2008). Insomma il triplo.
E l’1% della popolazione italiana detiene il 10% del reddito nazionale; era il 7% nel 1980.
Quanto ai miliardari (lo 0,1% 60 mila persone) nello stesso arco di tempo sono balzati dall’1,8% al 2,6% del reddito totale, ma i numeri continuano a gonfiarsi un anno dopo l’altro. Sempre l’Ocse (nel 2011) attesta che il 10% degli italiani fortunati ha guadagni oltre 10 volte superiori al 10% dei più sventurati.
A sua volta, la Banca d’Italia (nel 2012) racconta che il patrimonio delle 10 persone più ricche del Paese equivale al patrimonio complessivo di 3 milioni di italiani poveri, mentre il 10% delle famiglie agiate possiede il 46,6% della ricchezza netta familiare. Ancora: un rapporto ISTAT-CNEL (nel 2013) mostra come la diseguaglianza del reddito sia salita dal 5,2% al 5,6% tra il 2009 e il 2011. Infine il ministero dell’Economia (nel 2014) aggiunge che il 5% dei contribuenti con i redditi più alti dichiara il 22,7% del reddito complessivo.
Vilfredo Pareto sosteneva che la ricchezza tende a polarizzarsi, anziché disporsi attorno a un valore medio.
Negli altri campi dell’esperienza umana succede per lo più l’opposto. Così, se la statura media è di 170 cm, saranno pochissimi gli individui alti 190 o 150 cm. Così, la maggioranza degli studenti universitari ha una preparazione sufficiente, dopodiché si incontrano eccezioni verso l’alto (gli studenti molto preparati) o verso il basso (quelli con le orecchie d’asino).
Invece le leggi del libero mercato spingono verso un rapporto 80/20: l’80% della ricchezza è in mano al 20% della popolazione mentre il restante 80% delle persone si divide il 20% della torta. Di più: questo rapporto si ripete in seno a ogni frazione della popolazione complessiva, all’interno di ogni gruppo. Basta usare la lente di ingrandimento isolando questo o quel segmento. Ma il risultato sfiora il paradosso: come se, per tornare all’esempio della statura media, quest’ultima risulti da folle di individue alti 42,5 centimetri, mentre 1 su 5 tocchi 6,8 metri, e qualcun altro raggiunga 27 o addirittura 108 metri.
La condizione dell’Italia segue il principio di Pareto; gli indigenti in Italia dati Istat del 2012 li hanno contati 8,1 milioni. Ma sta di fatto che l’eguaglianza è simile a uno specchio, se lo rompi, andrà in mille frantumi. Impossibile contare tutti i cocci della diseguaglianza, due esempi significativi sono le categorie sociali dei meridionali e delle donne. Chi vive nel settentrione e chi indossa i pantaloni ha una situazione sociale diametralmente diversa da chi vive al sud e indossa una gonna. Il sud viene considerato come lo scantinato d’Italia. Dove la disoccupazione pesa più del doppio (28,4%, contro il 12% del Centro-Nord, Svimez 2013), con un record di precariato e di lavoro nero (26,9% in Calabria, 7,8% in Lombardia). Sui trattamenti sanitari (ogni anno Bolzano spende 500€ pro capite in più rispetto a Palermo). Sull’istruzione (nel sud l’abbandono scolastico coinvolge uno studente su 3). Sulla raccolta differenziata (oltre la metà dei rifiuti urbani nel Nord-Est il 20% nel Mezzogiorno). Perfino sul l’erogazione dell’acqua potabile ‘di cui il sud è ricco’ (al sud se ne lamenta il 17,4% delle famiglie, al nord il 4,5%). Infine la diseguaglianza incide sui redditi, sulla ricchezza complessiva, dal momento che il Pil di Milano è tre volte quello di Crotone.
La partita del Governo Draghi ma soprattutto dell’Italia si gioca sul cercare di colmare queste profonde discrepanze. Altrimenti saremo tutti travolti non dalla Pandemia ma dalla inevitabile desertificazione di una parte del Paese e dal rendere totalmente invisibili alcune categorie sociali che la retorica di ogni giorno vuole protagonisti ma la dura realtà li rende assolutamente marginali.


Felice Caristo

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