«Non abbiate paura della fragilità».
Qualche anno fa, durante un Angelus, papa Francesco formulò più volte questo invito, legandolo alle sfide che all’uomo vengono dalla natura e, sempre più spesso, anche della propria irresponsabilità. Non temere la fragilità è essenziale, e lo si è ben compreso in queste settimane vissute da prigionieri del coronavirus: decine di migliaia di morti, un sistema sanitario in crisi, il mondo del lavoro allo stremo, moltissime famiglie in gravi condizioni. L’angoscia diffusa fa che sì che ci si chiuda a riccio, come accade per riflessi condizionati, invece di aprire le coscienze e creare spazi di libero pensiero, fraternità, solidarietà. Eppure, in questi momenti terribili c’è chi non si arrende e trova nelle difficoltà un motivo per reagire.
La pandemia sta modificando gli stili di vita di individui, istituzioni, aziende. Insomma, della società. Inevitabilmente, ognuno è indotto a sperimentare la capacità di modificarsi ed evolvere. È in situazioni come queste che l’umanità riscopre il valore della resilienza, cioè l’attitudine ad affrontare le crisi in maniera propositiva, per riorganizzare al meglio la propria esistenza anche in presenza di circostanze avverse, riconoscendo le opportunità che si celano dietro ogni ostacolo, modificando progetti ed aspettative contingenti per preservare identità e valori.
Le vicende dei tempi presenti lo evidenziano: duttilità e forza di adattamento creativo agli alti e bassi della vita non si acquisiscono automaticamente, ma sono il risultato di una consapevole e lucida determinazione a stare dentro il proprio presente, il punto di arrivo di un sentiero di crescita impegnativo e faticoso, che però vale la pena percorrere fino in fondo se si vuole imparare a vivere anche l’ordinario conferendogli il gusto unico e appagante dello straordinario.
A pensarci bene, lo stesso sentiero porta alla fede, a quel Dio che vede ed ascolta il grido del suo popolo e partecipa in prima persona anche e soprattutto quando la vita va in frantumi, per sostenere la possibilità di futuro. La sua presenza è garanzia contro la disperazione che s’accompagna alle avversità: c’è una disperazione che si concretizza quando i molti che intuiscono la bellezza e il fascino di un grande progetto si bloccano appena capiscono quanto faticosa sia la strada e arduo l’impegno. C’è poi quella che fiorisce in chi non si lascia più sorprendere da nulla ed appassisce in un’inerzia che è una premorte. Scriveva il poeta Charles Péguy: «Disperare è la cosa più facile, è sperare la più ardua e impegnativa». Resilienza, allora, è anche cercare semi di vita e di gioia quando tutto sembra perduto. E la speranza è che resilienti si diventi in maniera integrale e compiuta, che si incominci a pensare sul serio alla tutela dell’ambiente, che la persona diventi il fulcro di ogni politica di crescita, che l’economia adotti modelli etici e di sviluppo diversi da quelli seguiti – a tratti ad occhi chiusi – negli ultimi trent’anni.
Nessuno può tirarsi indietro. Come ripeteva Martin Luther King, «può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla».

+ Vincenzo Bertolone

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