«I documenti che il governo ci ha consentito di visionare in Commissione antimafia, aggiornati solo al 25 aprile, dimostrano quanto sia fuorviante il tentativo del governo di scaricare sui giudici di sorveglianza la responsabilità delle scarcerazioni dei mafiosi con il pretesto del coronavirus. Infatti, secondo i dati ancora parziali, oltre 60 scarcerazioni non sono state richieste dai difensori dei detenuti, ma dall’amministrazione penitenziaria». E’ quanto affermano il segretario della Commissione antimafia Wanda Ferro e gli altri parlamentari di Fratelli d’Italia nell’organismo parlamentare Luca Ciriani e Antonio Iannone che, in attesa dell’audizione in Commissione del ministro Bonafede, hanno chiesto di acquisire l’elenco aggiornato delle scarcerazioni con le relative motivazioni e i verbali delle intercettazioni del Gom della Polizia penitenziaria nei quali i mafiosi hanno espresso timori, se non vere e proprie minacce, per la possibile nomina alla guida del Dap del magistrato Di Matteo. I parlamentari di Fratelli d’Italia hanno più volte evidenziato le responsabilità del governo rispetto allo scandalo delle scarcerazioni dei boss, prima con la linea morbida adottata dopo le rivolte nelle carceri in cui è evidente una regia occulta delle organizzazioni criminali, poi con l’inserimento dell’articolo 123 del “Cura Italia” che introduce un collegamento tra l’incompatibilità della detenzione in carcere per motivi di salute e il rischio di contrarre il coronavirus e con la circolare del Dap del 21 marzo che ha suggerito la scarcerazione per i detenuti con determinate patologie o con età superiori a 70 anni, senza neppure escludere i capimafia sottoposti al regime di isolamento del 41-bis. I rappresentanti di Fratelli d’Italia in Commissione hanno depositato una relazione in cui sollecitano un intervento di carattere normativo finalizzato a impedire che il rischio di contagio venga considerato come un motivo valido per disporre la detenzione domiciliare, considerato anche che i detenuti in regime di 41-bis vivono in una situazione di sostanziale isolamento che rende irrisorio il rischio di contagio. Anche per i detenuti in regime di massima sicurezza sono minimi i problemi di promiscuità. Per Ferro, Ciriani e Iannone «è necessario porre argine alle decisioni di scioglimento del cumulo penale e perfezionare la forza ostativa dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, per evitare misure di favore nei riguardi di detenuti la cui pericolosità, in forza dei contatti con le consorterie criminali, desta un giustificato allarme sociale. E’ evidente infatti che alcuni accessi ai benefici sono stati conseguiti da parte di detenuti dalla qualificata pericolosità criminale, proprio in forza di un’applicazione elastica, valorizzata da scioglimenti di cumuli penali, del varco creato dall’art. 123 del “Cura Italia”, che ha influenzato pesantemente, come era fatale che fosse, le decisioni della magistratura di sorveglianza anche rispetto ai delitti ricompresi nel perimetro presuntivo di pericolosità sociale, come appunto i reati di mafia. Non appare sufficiente, quindi, la norma introdotta con il nuovo decreto varato in fretta e furia dal Governo, che lascia aperta ai magistrati di sorveglianza la possibilità di applicare la detenzione domiciliare ai boss mafiosi sottoposti al regime del carcere duro, dopo aver chiesto i pareri dei procuratori distrettuali e del procuratore nazionale antimafia “in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto”. Come se fosse ipotizzabile che un boss detenuto al 41bis possa non avere collegamenti con la criminalità organizzata o possa non essere più considerato pericoloso».

Il tema dello scioglimento del cumulo volto a superare l’ostatività – secondo i parlamentari di Fdi – meriterebbe una norma che preveda espressamente che il beneficio previsto dall’articolo 123 deve essere escluso se la pena non superiore a 18 mesi sia parte residua di maggior pena oggetto di cumulo irrogato con sentenze di condanna comprendenti anche reati di grave allarme sociale, tra cui quelli di mafia, terrorismo, narcotraffico e i gravi reati associativi.

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