Richieste di estorsioni e minacce nei confronti di ristoranti e pizzerie di Reggio Emilia e provincia, in una sorta di ‘programma’ fatto in casa con la consegna di bigliettini dattiloscritti seguiti da colpi di pistola rivolti alle attività commerciali. Queste le accuse nei confronti di tre fratelli calabresi, originari della piana di Rosarno, sottoposti a fermo di polizia giudiziaria dai carabinieri della Compagnia di Guastalla, assieme ai colleghi della stazione di Cadelbosco Sopra e del Nucleo Investigativo del comando Provinciale di Reggio Emilia. Le indagini, coordinate dalla procura reggiana, hanno messo la parola fine a una scia di terrore durata due settimane. I tre fermati sono figli di Francesco Amato, 55enne condannato per mafia nel processo contro l’Ndrangheta “Aemilia”, che nei giorni successivi alla condanna di primo grado si era asserragliato all’interno dell’ufficio postale di Pieve, a Reggio Emilia, con cinque ostaggi per poi essere arrestato dai carabinieri dopo 10 ore di trattativa. Richieste di denaro e minacce, anche scritte in modo sgrammaticato. Sono i pizzini (foto) che carabinieri e polizia hanno ritrovato nei ristoranti finiti nel mirino degli estorsioni che chiedevano ai titolari dei locali mille euro per continuare la loro attività. “Al sottoscritto La Perla: vi chiediamo di essere gentile e di capire il problema. Vi chiediamo mille euro per lei non sono niente in confronto a quanto guadagnate”, si legge in uno dei pizzini lasciati nella pizzeria La Perla di Cadelbosco Sopra, contro cui sono stati sparati sei colpi di pistola nella notte tra il 31 gennaio e l’1 febbraio, per il rifiuto del titolare di pagare. Un gesto anticipato da un messaggio di minacce “Essendo che le nostre richieste sono cadute nel vuoto io stasera ti farò dei danni perché hai sottovalutato il problema. Questa sera, anzi domani, cambierai i vetri”.

Indietro