“In nome del padre” può capitare di riaprire ferite profonde, che risalgono ai tempi dell’infanzia, e che spesso sono all’origine degli errori che ci si ritrova a commettere. E’ proprio per tendere ad una “rieducazione” e riflettere su di sé che il progetto di scrittura autobiografica (“In nome del padre”, appunto) è stato portato avanti nella Casa Circondariale di Catanzaro, dopo aver varcato le mura di altre cinque realtà carcerarie del nord Italia. Per volontà della direttrice del carcere, Angela Paravati, che crede nella portata “rieducativa” del carcere, la proposta avanzata dall’associazione LiberaMente – rappresentata da Francesco Cosentini, che è anche vicepresidente nazionale del SEAC (Coordinamento enti ed associazioni di volontariato penitenziario) – ha trovato nel gruppo di detenuti coinvolti una “classe” attenta e pronta ad aprirsi alle sollecitazioni che Carla Chiappini e Laura Gaggini, che hanno condotto il laboratorio di scrittura, hanno loro rivolto.
“La scrittura ha il potere di “liberare” e di far fuoriuscire un potenziale che altrimenti resterebbe sempre nascosto – è stato il commento della Chiappini, intervenuta alla presentazione del progetto, avvenuta giovedì pomeriggio nel teatro dell’Istituto di Pena, alla presenza degli stessi detenuti che hanno partecipato al laboratorio – Qui a Catanzaro, più che in altri carceri, è successo qualcosa: i detenuti hanno riscoperto con coraggio la relazione con il padre, rileggendola alla luce del momento di trasformazione che stanno vivendo qui dentro. Ne sono usciti fuori dei lavori bellissimi, a tratti commoventi, in cui risalta il senso di colpa nei confronti della figura paterna e dei propri figli. Ma un papà resta tale anche quando ha sbagliato”.
A leggere gli scritti, in cui i detenuti hanno riportato i loro ricordi legati al papà ed al giorno in cui sono nati i propri figli, sono stati Generoso Scicchitano e Pasquale Caridi: le suggestioni evocate dalle parole pregne di rimorsi e sofferenze hanno ispirato gli interventi successivi, moderati dalla giornalista Benedetta Garofalo, che hanno avuto per protagonisti la stessa direttrice Paravati, Francesco Cosentini, il magistrato di sorveglianza Laura Antonini, l’onorevole Angela Napoli, il pedagogista Nicola Siciliani Decumis ed il giornalista Filippo Veltri, apprezzato dai detenuti per la sua capacità di provocare e, quindi, di far riflettere. La vita, a detta di Veltri, non finisce tra le sbarre. Certo, ci vuole una certa “tensione morale” ad entrare lì dentro come fanno i volontari, ma tutti i progetti portati avanti dalle associazioni (presenti, tra gli altri, il presidente del CSV di Catanzaro, Luigi Cuomo; il portavoce del Forum del Terzo Settore, Giuseppe Apostoliti, e la presidente di “Universo Minori”, Rita Tulelli, che è stata ricordata per essersi spesa nell’aver arredato una stanza in maniera accogliente in cui i papà possano ricevere la visita dei propri figli senza che ne rimangano traumatizzati), come il laboratorio di scrittura autobiografica, rappresentano opportunità di confronto e di conoscenza che tendono a “rieducare” alla vita, specie al momento in cui ad essa si fa ritorno dopo aver scontato la pena.

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