Alla “Minotauro Fine Art Gallery” nel comune bresciano, fino al 24 gennaio, l’importante antologica a cura di Salvatore e Antonio Falbo che “consacra” la brillante rappresentante italiana della Fiber art. Poi i primi due prestigiosi appuntamenti del 2018: ad Arezzo, dal 10 marzo, nell’atrio d’onore del Palazzo della Provincia; e dal 24 marzo al Castello di Cavernago (Bg). Vittorio Sgarbi: “Fare arte col filo vuol dire, innanzitutto, meditare sul senso più intrinseco delle cose. Ogni opera di Rosa Spina ha la particolarità tutta speciale di essere, nello stesso tempo, un linguaggio, il proprio artistico, e “il” linguaggio, funzionando come una presa di coscienza per via metaforica e sperimentando di volta in volta nuovi indirizzi, nuovi percorsi da battere”. Alla “Minotauro Fine Art Gallery” di Palazzolo sull’Oglio (Bs), diretta da Antonio e Salvatore Falbo (che, va specificato, non è solo una Galleria d’Arte, pure se di alto e acclarato livello, ma soprattutto, e in più, una vivace e moderna “factory” in cui nuovi talenti nascono, crescono e si promuovono, e dove prendono corpo e “volo” proposte e tendenze artistiche innovative), con Vittorio Sgarbi padrino d’eccezione, che l’ha presentata al pubblico, grande e annunciato successo per la siculo-calabrese Rosa Spina (è originaria di Giarre e da tempo residente a Catanzaro), brillante rappresentante italiana della cosiddetta Fiber Art. E’ questa la prima di tre importanti mostre (seguiranno, Arezzo a partire dall’8 marzo, nella stupenda sala-atrio d’onore del Palazzo della Provincia; poi il 24 marzo nell’altrettanto spettacolare sede del Castello di Cavernago, nel bergamasco) che per così dire “consacrano” Rosa Spina e la mettono sotto l’obiettivo privilegiato della grande critica e del più potente mercato dell’arte. Sgarbi, ne ha scritto così sul corposo catalogo Editoriale Giorgio Mondadori a lei dedicato, e così detto durante la presentazione: “avvicinerei l’arte di Rosa Spina allo spirito di certo Antiform americano degli scorsi Sessanta, in quanto ricerca di forme alternative . Fare arte col filo vuol dire, innanzitutto, meditare sul senso più intrinseco delle cose. Ogni sua opera ha la particolarità tutta speciale di essere, nello stesso tempo, un linguaggio, il proprio artistico, e “il” linguaggio, funzionando come una presa di coscienza per via metaforica. Strette, avvincenti questioni di forma, si propongono di continuo delle mete variate sperimentando di volta in volta nuovi indirizzi, nuovi percorsi da battere. I convinti elogi alla Spina, si sommano negli altri contributi critici al catalogo, realizzati da Antonio Falbo, Salvatore Falbo, Maria Elena Loda, Roberto Messina, Giovanna Vecchio e Leo Strozzieri, concordi tutti sull’ultima, ben compiuta “micro-macro-metamorfosi” (definizione di Antonio Falbo) di quest’artista dal solido curriculum (mostre personali e collettive a Milano, Roma, Verona, Venezia, Ferrara, Piacenza, Napoli, Torino, Firenze, Dubai, Munchen, Parigi, Barcellona, New York, Washington, Istanbul, Stoccarda, Stoccolma, Hong Kong). Una metamorfosi, che è come un’ennesima, decisiva rivoluzione stilistica, indicativa della sua “umiltà”, ma soprattutto della sua notevole versatilità e dell’entusiasmo con cui rimette ogni volta alla prova la propria specificità artistica, ridefinendola, ridisegnanola, riattualizzandola di continuo. L’antologica che offre Rosa Spina a Palazzolo, parte da lontano: sin dai suoi esordi come talento ben notato dall’ideatore dei “decollages”, e artista universalmente noto (e sommamente quotato), Mimmo Rotella (di natali catanzaresi). Poi introdotta all’attenzione internazionale dal critico Pierre Restany, fino alla sua più recente, citata evoluzione. La Mostra di Palazzolo è sostanzialmente una raccolta, un “omaggio” all’intera produzione e alle molteplici suggestioni che la critica nazionale ed internazionale ha trovato ben riflesse nel suo lavoro. Un’esposizione che si potrebbe intendere come “meditazione concettuale” e come “pausa”, per poter riunire tutti i suoi “motivi”: gli intrecci, i miti, le ispirazioni che l’hanno guidata fin qui. “Il suo linguaggio – spiega Salvatore Falbo – curatore dell’archivio ufficiale, sta mostrando una parabola evolutiva che l’itinerario di mostra si propone di fissare all’attenzione dello spettatore: dai semplici intrecci sfilacciati romboidali su fondo neutro, fino al recupero della qualità pittorica affrontata dall’artista ancora anni fa, ed apprezzata solo ultimamente da Vittorio Sgarbi, che l’ha spinta a ridefinire la propria cifra compositiva in opere di un più ampio, e completo, respiro”. “Il nucleo di questa sua nova collezione – scrive nel catalogo il giornalista Roberto Messina, anche moderatore all’inaugurazione di Palazzolo – si innesta, supera e nobilita in più d’un senso, l’impegno espletato finora, e la lunga ricerca, con una condensazione che genera pathos, tensioni e ‘annunciazioni’. Pochi, scarni elementi ottenuti da nette campiture di fili colorati, infatti, delineano e figurano sulle reti immagini magiche, misteriose, al limite tra idea di paesaggio e astrazione. Con risultati, però, chiari, preziosi, eleganti. I filamenti colorati, le fibre polimateriche intrecciate e curvate su sfondi cromatici, ed ora su ritagli di maglia di ferro e reti, i defilages, assumono personalità, dinamismo, carica emotiva e spaziale, e sono attraversati da lampi dinamici, da lirismi resi con forza da un insieme architettonico, geometrico, ma anche entropico, di invidiabile equilibrio formale”. Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale di Milano, gradito ospite alla vernice della Spina, ha espresso viva sorpresa, dicendosi: “intimamente suggestionato da quest’ultima produzione di un’artista che conosco e apprezzo e che ora vedo, con piacere, fortemente sublimata, proiettata su un ulteriore livello di ricerca, compiutezza e qualità artistica, con opere potenti, che parlano e comunicano allo spettatore. Una produzione che, come sempre avviene quando il proprio fine è collegato al proprio inizio, quando è il genius loci la strada seguita e su cui ci si è saputi innestare, acquista spessore, significato e fascino). Ha chiarito a riguardo Maria Elena Loda: “Rosa Spina passa in rassegna le suggestioni magnogreche e bizantine del mito con le sue valenze misteriche e religiose, provenienti a lei per DNA dalla memoria storica partenopea che le sue nonne, e le sue ave, le hanno trasmesso in una silente e severa scuola la cui eredità non si misura in denaro. Rosa arriva ai nostri giorni, mediando il Sapere senza Parole delle sue mani da tessitrice, con il gusto moderno delle gallerie d’arte, sempre stanche di tutto e quindi sempre in cerca di nuove emozioni”.

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